Mio padre era furioso. Il viso aveva assunto un colore rosso scuro, paonazzo, il collo gonfio con le vene grosse mentre urlava la sua rabbia per la mia, secondo lui, stupidissima decisione. Mi aveva tirata su per diventare una donna di successo, una persona indipendente, intelligente di quelle che non prendono decisioni affrettate o basate sulle emozioni, sugli impulsi di cui vivono schiave. La mia decisione di lasciare il mio lavoro in banca per andare al nord a lavorare in un casino lo aveva devastato, fisicamente e psicologicamente. E poi lo aveva fatto impazzire di rabbia. Perché mai stavo voltando le spalle alla mia vita, alla mia carriera per andare a lavorare in un casino in un qualche paesino al nord, tanto lontano da casa? E che cosa mai avrei fatto in un casino, poi? Non è che ci vogliano grandi figure manageriali per gestire un posto del genere.
Lo avevo lasciato urlare, gesticolare e imprecare per quasi venti minuti. Ero rimasta in religioso silenzio, consapevole che avrebbe raggiunto il culmine del fastidio e che, dopo, si sarebbe lentamente calmato. Ben venti minuti erano passati prima che il silenzio regnasse nella stanza. Era un silenzio pesante, lui si era lasciato cadere sulla sua poltrona accanto al camino, stanco e invecchiato improvvisamente, svuotato dalla sua passione e visibilmente deluso dalla scelta della sua unica figlia di andare a lavorare in un casino. Ero incredibilmente dispiaciuta, sapevo che gli stavo causando un dolore immenso, ma non potevo continuare con quella vita per lui. Da troppo ormai stavo male, erano mesi che prendevo antidepressivi e che vedevo uno psicologo, senza successo. Al contrario, mi sentivo peggiorare. Ma questo aspetto della mia fantastica carriera, lui non lo voleva vedere. Era un uomo, un uomo di un’altra generazione e non poteva capire cosa volesse dire essere una donna nella mia posizione. Ero stanca, e mi stavo spegnendo. Dopo qualche minuto di silenzio, gli dissi solo che avevo preso questa dolorosa decisione per riuscire a sopravvivere, che lo amavo e che mi dispiaceva. Che speravo mi avrebbe perdonato.
Il casino era stata una scelta del tutto casuale. Guardavo annunci di lavoro e quello del casino aveva catturato la mia attenzione perché era lontano da casa, da tutto e da tutti, e perché era un lavoro semplice. Mi avevano subito offerto la posizione, visto il mio curriculum e così ora stavo guidando verso la mia nuova vita, nella speranza di guarire dalla mia tristezza. Per questo ponevo grande speranza nella mia futura vita al casino.
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